Un
giovane studente di nome Nishida (Fumio
Watanabe) si trasferisce in una residenza malconcia e abitata da vivaci e
caratteristici coinquilini per risparmiare il più possibile. Durante il
trasloco fa la conoscenza della bella cameriera Shizuko (Ineko Arima) con la quale nasce subito un reciproco interessamento.
Shizuko però è ancora ignara che il famigerato yakuza Jo (Tatsuya Nakadai) le ha messo gli occhi addosso e sta tramando per
farla sua. Nel frattempo la proprietaria della residenza, sotto la spinta di
“Killer Jo” e dell’acquirente, vuole vendere il terreno per farci costruire
sopra un bagno pubblico.
Recensione di Picchi
Masaki
Kobayashi è uno degli indiscussi maggiori registi giapponesi che, con
sensibilità delicata e brutale verità, critica i risvolti sociali e storici del
suo paese dal secondo conflitto fino agli anni successivi.
Il
dramma noir Kuroi Kawa (titolo originale) è ambientato in una periferia povera del Giappone, come ce ne erano
tante in quegli anni in cui l’Occupazione
Americana (’45 - ’52) era sempre presente come un’ombra. Dalla base
aerea alla musica americana anni cinquanta, insegne e bar in inglese, dai neri
alla mania nippo-americana del senso di “proprietà”. Un senso che si respira
nella proprietaria della residenza-catapecchia, di Jo nei confronti della bella
Shizuko, dei coinquilini sul pezzetto di terra davanti all’entrata,
dell’orologio di Nishida e dell’ombrello di Shizuko.
La drammaticità del film è
alleggerita grazie alla presenza dei coinquilini della “casa”.
Pseudo-parrucchiere, cuochi effemminati, madri, mariti lavoratori, finti
studenti. Nonostante questi vivano sotto lo stesso tetto e subiscano senza
disparità la stessa sorte tentando di sbarcare il lunario, ognuno pensa
unicamente a se stesso. Si spiano, si parlano alle spalle, ridono gli uni delle
disgrazie degli altri, in scene a volte tragicomiche. Anche la brutta, avara
vedova proprietaria della catapecchia, che tanto disprezza gli affituari, si
rivela come loro, egoista e approfittatrice. Solo un coinquilino sembra
veramente tenere alle sorti della casa e del destino degli altri coinquilini, cercando
di incitarli alla lotta contro lo spietato nemico capitalista, è il cinese
rosso Kin. Sicuramente la spiccata caratterizzazione del personaggio voluta dal
regista, vuole proprio sottolineare questa differanza. L’unico non giapponese è
anche l’unico che veramente vorrebbe fare qualcosa, che vorrebbe cambiare le
cose, contrapponendolo così al poco senso morale e civile degli altri
personaggi giapponesi.
Ad una prima occhiata la
drammaticità del film sembra essere la sorte della povera ma ambigua Shizuko, aggredita e
soggiogata dal perfido Jo. Sebbene questa vorrebbe fuggire da quest’uomo malvagio,
consapevole che la sua sorte sarà quella di prostituirsi nei bordelli
frequentati dagli americani, allo stesso tempo però ne è attratta. Ambientato
in un periodo di occupazione, corruzione e lotta tra il bene e il male, il vero
protagonista è proprio l’animo umano di ogni carattere (l’ingenua Shizuko, “Killer”
Jo, i miseri affittuari, lo studente, le prostitute, ecc...). Preoccupato di mali sociali,
povertà, oppressione, il peso della guerra persa, Black River segue il
motif “nero” dei film umanistici giapponesi degli anni ’50. Il fiume nero del
cuore umano.
Uno
dei primissimi ruoli di Tatsuya Nakadai che da qui in poi diventerà il pupillo
di Masaki Kobayashi, interpretando anche magnifici ruoli come in Seppuku (Harakiri in Italia) e in Ningen no Joken (Human Condition), il capolavoro assoluto del
regista.
“Nakadai è convincentemente spaventoso in uno
dei suoi primi ruoli. Avvincente dall’inizio alla fine.” – American
Cinematheque
"Un tipo di melodramma sociale raro e
profondo." – Terrence Rafferty, The New York Times
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