sabato 24 settembre 2011

The Temple of the Golden Pavilion

Il giovane balbuziente Goichi Mizoguchi (Raizō Ichikawa) figlio di un monaco buddhista, arriva a Kyoto per frequentare il noviziato monastico presso il celebre Shukaku-ji, il Tempio del Padiglione d'oro. Appena arrivato al tempio viene presentato all'abate Superiore Tayama (Ganjirō Nakamura), un vecchio amico del padre del ragazzo che, saputo della sua morte, lo prende sotto la sua ala protettiva. Passato del tempo arriva al Tempio Soen anche la madre (Kitabayashi Tanie), che lo mette sotto pressione affinché si ingrazi l'abate Superiore e si assicuri la successione del tempio. Iscrittosi all'università incontra lo studente Togari (Tatsuya Nakadai), uno zoppo meschino che con discorsi cinici tenta di avvelenare il cuore del novizio. L'idealista, taciturno e ingenuo Goichi è ossessionato dall'idea di bellezza che il padre per anni gli ha instillato, ritenendo il Tempio del Padiglione d'oro la più bella costruzione del mondo. Sentendosi smarrito misticamente, incompreso e solo, nel 1950 Goichi compie un atto ancora oggi ricordato in tutto il Giappone...


Recensione  di Picchi
Questo film è uno dei più famosi lavori di Kon Ichikawa per diversi motivi: perché tratta della vicenda dell'incendio doloso che distrusse uno dei tesori nazionali del Giappone, per le aspettative sulla peculiare sensibilità estetica del regista, per la bravura degli attori e, infine, perché basato sul famoso romanzo del celebre scrittore Yukio Mishima 三島由紀夫 (1925-1970) "Kinkaku-ji" del 1956 (edito in Italia con il titolo "Il Tempio del Padiglione d'oro" da Feltrinelli e da i Meridiani Mondadori).

Ichikawa ha voluto filmare oggettivamente un monaco che vedeva il Kinkaku-ji in maniera sublime e non dipingere il sublime tempio attraverso la soggettività del protagonista, come accade nel romanzo. La macchina da presa diventa strumento di oggettività. Questo è stato possibile anche grazie a delle note che Mishima aveva scritto in preparazione della stesura del libro, che permisero a Ichikawa e a Natto Wada (sceneggiatrice e moglie del regista) di trovare il modo giusto per adattare la storia sullo schermo. Questi appunti riguardavano soprattutto la vita di Mizoguchi al suo paese natio, dei suoi genitori e del rapporto con loro, ma furono talmente fondamentali che si può affermare che la sceneggiatura è una ricostruzione basata più su queste note che non sul romanzo completo vero e proprio. Ciò nonostante la pellicola rimane fedele al racconto, narrando una storia tragica e importante in maniera normale.

Il film si apre con l'interrogatorio di Goichi; attraverso i flashback si prosegue nello sviluppo della storia che riportano al suo passato, permettendo allo spettatore di capire la sua ossessione per il Kinkaku-ji, dell'amore per il padre e dell'antipatia nei confronti della madre.

Ichikawa ha voluto a tutti i costi che Raizō Ichikawa facesse parte del cast, posticipando le riprese del film di un anno a causa dell'opposizione della Daiei. La casa produttrice infatti non voleva che Raizō, all'apice del successo, recitasse la parte di un criminale balbuziente e complessato, per paura che potesse intaccare la sua fama di attore di jidai-geki (genere di film storico ambientato in un preciso periodo). La testardaggine del regista però fu ben premiata perché la bravura del giovane attore fu determinante per il successo del film. Un famoso critico e storico di cultura popolare, Hiroshi Minami, scrisse nella rivista di cinema Kinema Jumpo:

"Raizō recita la parte magnificamente. Il modo in cui interpreta la goffaggine di Mizoguchi, con la sua bocca sempre semiaperta, è così perfetta che anche lui farebbe fatica a riconoscersi."

Il Mizoguchi del libro e il Mizoguchi del film sono infatti diversi. Nel libro il racconto è scritto in prima persona, dove i pensieri del protagonista sono estremamente fluidi e di un'eloquenza strabilianti, contrapponendosi nettamente alla pesante balbuzie che lo afflige quando invece parla ad alta voce. Nel film invece Mizoguchi è frenetico, impaziente, nessuna voce fuori schermo viene utilizzata per rappresentare i monologhi interiori ed è lui stesso a domandare ad altri personaggi il loro giudizio nei suoi confronti.
Spesso le pellicole basate su romanzi non riescono a raggiungere i livelli della storia cartacea. Enjō (titolo originale) nonostante sia stato ben accolto a volte viene denigrato come un film che sarebbe stato meglio non fare mai. Credo che sia non solo esagerato ma anche sbagliato. Ichikawa fa un ottimo lavoro nonostante l'arduo compito, e il paragone che nasce scontato e spontaneo con il capolavoro di Mishima non è cosa da nulla. Il film non riesce a toccare il sublime apice di bellezza che suscita il romanzo, perché come ha detto lo stesso regista, ha voluto cambiare punto di vista e normalizzare il racconto. Se se ne tiene conto, allora la prospettiva cambia e il film risulta certamente più apprezzabile.


(Versione: 700)
 

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