venerdì 23 settembre 2011

Black River



Un giovane studente di nome Nishida (Fumio Watanabe) si trasferisce in una residenza malconcia e abitata da vivaci e caratteristici coinquilini per risparmiare il più possibile. Durante il trasloco fa la conoscenza della bella cameriera Shizuko (Ineko Arima) con la quale nasce subito un reciproco interessamento. Shizuko però è ancora ignara che il famigerato yakuza Jo (Tatsuya Nakadai) le ha messo gli occhi addosso e sta tramando per farla sua. Nel frattempo la proprietaria della residenza, sotto la spinta di “Killer Jo” e dell’acquirente, vuole vendere il terreno per farci costruire sopra un bagno pubblico. 

Recensione di Picchi 
Masaki Kobayashi è uno degli indiscussi maggiori registi giapponesi che, con sensibilità delicata e brutale verità, critica i risvolti sociali e storici del suo paese dal secondo conflitto fino agli anni successivi.
Il dramma noir Kuroi Kawa (titolo originale) è ambientato in una periferia povera del Giappone, come ce ne erano tante in quegli anni in cui l’Occupazione Americana (’45 - ’52) era sempre presente come un’ombra. Dalla base aerea alla musica americana anni cinquanta, insegne e bar in inglese, dai neri alla mania nippo-americana del senso di “proprietà”. Un senso che si respira nella proprietaria della residenza-catapecchia, di Jo nei confronti della bella Shizuko, dei coinquilini sul pezzetto di terra davanti all’entrata, dell’orologio di Nishida e dell’ombrello di Shizuko.

La drammaticità del film è alleggerita grazie alla presenza dei coinquilini della “casa”. Pseudo-parrucchiere, cuochi effemminati, madri, mariti lavoratori, finti studenti. Nonostante questi vivano sotto lo stesso tetto e subiscano senza disparità la stessa sorte tentando di sbarcare il lunario, ognuno pensa unicamente a se stesso. Si spiano, si parlano alle spalle, ridono gli uni delle disgrazie degli altri, in scene a volte tragicomiche. Anche la brutta, avara vedova proprietaria della catapecchia, che tanto disprezza gli affituari, si rivela come loro, egoista e approfittatrice. Solo un coinquilino sembra veramente tenere alle sorti della casa e del destino degli altri coinquilini, cercando di incitarli alla lotta contro lo spietato nemico capitalista, è il cinese rosso Kin. Sicuramente la spiccata caratterizzazione del personaggio voluta dal regista, vuole proprio sottolineare questa differanza. L’unico non giapponese è anche l’unico che veramente vorrebbe fare qualcosa, che vorrebbe cambiare le cose, contrapponendolo così al poco senso morale e civile degli altri personaggi giapponesi. 

Ad una prima occhiata la drammaticità del film sembra essere la sorte della povera ma ambigua Shizuko, aggredita e soggiogata dal perfido Jo. Sebbene questa vorrebbe fuggire da quest’uomo malvagio, consapevole che la sua sorte sarà quella di prostituirsi nei bordelli frequentati dagli americani, allo stesso tempo però ne è attratta. Ambientato in un periodo di occupazione, corruzione e lotta tra il bene e il male, il vero protagonista è proprio l’animo umano di ogni carattere (l’ingenua Shizuko, “Killer” Jo, i miseri affittuari, lo studente, le prostitute, ecc...). Preoccupato di mali sociali, povertà, oppressione, il peso della guerra persa, Black River segue il motif “nero” dei film umanistici giapponesi degli anni ’50. Il fiume nero del cuore umano.

Uno dei primissimi ruoli di Tatsuya Nakadai che da qui in poi diventerà il pupillo di Masaki Kobayashi, interpretando anche magnifici ruoli come in Seppuku (Harakiri in Italia) e in Ningen no Joken (Human Condition), il capolavoro assoluto del regista. 






Nakadai è convincentemente spaventoso in uno dei suoi primi ruoli. Avvincente dall’inizio alla fine.American Cinematheque

"Un tipo di melodramma sociale raro e profondo." – Terrence Rafferty, The New York Times


Sottotitoli in italiano
 (Versione: 700 e 1,35)

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